martedì 2 maggio 2017

Persepolis, Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud (2007)




All'origine c'è un'autobiografia a fumetti. O meglio - e più precisamente - all'origine c'è tutta una vita. Un vita intensa e rocambolesca, quella della ancor giovane (classe 1969) Marjane Satrapi. Non propriamente una vita di stenti; in fondo Marjane discende da una famiglia benestante, addirittura da uno scià (anche se - ed è lei stessa a sottolinearlo - i re cagiari avevano talmente tanti figli che i loro discendenti si contano a migliaia). Piuttosto, una vita drammatica, per i tanti conoscenti tragicamente scomparsi, e al contempo avventurosa, viste le continue, inevitabili peripezie che deve affrontare.



Ma quella narrata in "Persepolis" è anche, se non soprattutto, la storia di un Paese. Forse il riassunto ad uso e consumo del pubblico occidentale, a cui è rivolto questo film che ripercorre le tappe fondamentali della Storia contemporanea dell'Iran non dando nulla per scontato, raccontando anzi le cose che un persiano conosce - si presume - pressoché a menadito. Ma l'ironia, la leggerezza e la passione con cui sono narrate, fanno sì che didascalismi e didatticismi siano fugati. E che sia quasi impossibile non emozionarsi di fronte a ciò che contraddistingue questa delicata opera d'arte: i disegni stilizzati, l'elegante bianco e nero (le sequenze a colori sono quelle relative a partenze, scali e arrivi dell'itinerario perpetuo della protagonista, tra Iran, Austria e Francia), i traumi piccoli e grandi, la crescita fisica, intellettuale e morale della stessa Marjane.




Un romanzo umano intenso quanto divertente, firmato con il collega (di graphic novel) Vincent Paronnaud, ma appartenente al 100% all'autrice. Che ripercorre la sua infanzia (durante la dittatura di Mohammed Reza Pahlavi) segnata dal mito di Bruce Lee e dagli arresti dei parenti militanti comunisti, le disillusioni seguite alla rivoluzione di Khomeini, la messa al bando della cultura occidentale, la tragica "guerra imposta" con l'Iraq e il coevo fanatismo religioso più cieco in patria. L'emigrazione a Vienna, la difficile integrazione e i primi infelici amori; il ritorno in Iran, un affrettato e catastrofico matrimonio, l'approdo finale a Parigi. Tutto vissuto, più che raccontato, con grande partecipazione emotiva, ma sempre con un sorriso amaro sulle labbra.



A far da filo conduttore, il rapporto di Marjane con la religione. Anzi con Dio personificato. Con le sue origini, verso cui prova un misto d'orgoglio e vergogna. Con i parenti: i genitori, ma soprattutto la saggia nonna. E lo zio, che le rammenta uno dei significati ultimi di tutto "Persepolis": "la memoria della famiglia non deve morire mai".



Fonte: Ondacinema

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